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La Strada dei Mandrioli: impressioni d'autore
La Strada dei Mandrioli: impressioni d'autore
La rotabile transappenninica “Tosco-Romagnola” fu aperta nella tarda estate del 1882 mettendo finalmente in comunicazione, attraverso il Passo dei Madrioli, il Casentino e la Toscana con Bagno di Romagna e l'alta Valle del Savio.
I lavori erano iniziati nel 1868, e dieci anni dopo erano stati realizzati i tratti da Bagno al Passo dei Mandrioli (km 11,31) e da Bibbiena a Badia Prataglia (km.11,83), finanziati l’uno dalla Provincia di Firenze, l’altro da quella di Arezzo. Rimanevano 5 km, a cui si stava lavorando nell'agosto 1880 quando lo scrittore Olindo Guerrini (1854 -1916), giunto a Badia Prataglia durante un viaggio dal Falterona al Fumaiolo, dovette dormire sui tavoli di un'osteria perché tutte le camere erano occupate dagli operai impiegati in quegli ultimi lavori.
L’apertura al traffico della “Tosco-Romagnola” tolse letteralmente dalla segregazione l’alta valle del Savio che non aveva una strada carrozzabile che congiungesse i territori montani delle Province di Forlì, Arezzo e Firenze, contigui ma poco comunicanti.
Bagno di Romagna infatti era unito al resto della Toscana al di la dell'Appennino solo con l'impervia mulattiera di Passo Serra, mentre un tratturo “vagante per il letto del Savio” rendeva ardue le comunicazioni con Sarsina e la pianura romagnola; per giungere poi dalla stazione ferroviaria più vicina - quella di Forlì - la diligenza impiegava 6 ore lungo i 66 km della provinciale della Valle del Bidente ed il Passo del Carnaio.
La nuova viabilità - completata nell'agosto 1899 con l'inaugurazione dell'altra “carrozzabile interprovinciale tosco romagnola” lungo la Valle del Savio - porta regolari collegamenti e nuove prospettive economiche e sociali. Dal 1901 un servizio di posta con diligenza unisce giornalmente Bagno a Cesena (57 km), sostituito qualche anno dopo dalla corriera della “Società Automobilistica Valle del Savio”. Nel versante toscano, da Arezzo è attivo fin dal 1882 un servizio di diligenza fino a Bibbiena, da dove un postale reca giornalmente a Bagno; poi, con l'entrata in funzione della tratta ferroviaria Arezzo-Bibbiena-Stia (1888), dalla stazione di Bibbiena, in coincidenza coi treni da Arezzo, si giunge a Bagno in 4 ore con una vettura della posta a cavalli; nel gennaio 1913 inizia il servizio automobilistico Bagno-Bibbiena, e dal 1917 le due corse giornaliere della SITA tra Firenze e Bagno di Romagna.
La Tosco-romagnola - che con audaci tagli in roccia e ampi serpeggiamenti vince un forte dislivello (664 metri) con andamento breve e pendenze costanti intorno al 5-7% - venne percepita come un'ardita impresa, un “prodigio naturale e artificiale”: un capolavoro ingegneristico - “Certo è che per quei monti e per quei scogli sconci ed erti, pare impossibile potersi costruire una strada ruotabile” si scriveva - e paesaggistico: “una delle più belle d’Italia” secondo alcuni, per altri “forse anche troppo di lusso per una strada di montagna”.
La progettò Alcide Boschi (1839-1892), ingegnere distrettuale del Circondario di Rocca San Casciano, che ebbe pure il compito di curare ed attuare il progetto definitivo della ruotabile interprovinciale tra Bagno e Sarsina, naturale proseguimento della Strada dei Mandrioli verso la piana romagnola.
Per dimostrar gratitudine all'ingegner Boschi che tanto fece per la rete stradale dell’alto Savio, il Comune di Bagno di Romagna deliberò di erigergli due lapidi. Che però non vennero mai commissionate. Nel 1908 - 16° anniversario della sua drammatica morte - un gruppo di ammiratori pose allora sulla cantoniera del “Raggio”, lungo i Mandrioli, questa lapide: “Bagno di Romagna 16 luglio 1908./ Nato a Pisa il 2 settembre 1839 / morto il 16 luglio 1892, / il Cav. Ing. Alcide Boschi / costruiva, / monumento imperituro / della sua sapienza artistica, / questa strada dei Mandrioli”.
La Tosco-romagnola è infatti spettacolare e offre scenari differenti a seconda del versante che si percorre, dove pure è diverso l’inserimento nel paesaggio: in quello toscano sale, orientandosi sul fiume Archiano, tra il verde di una natura domestica che asseconda con graduale educazione al pendio; in quello romagnolo l'opera dell'uomo invece si affida risolutamente a se stessa: salendo da Bagno s’inerpica, con una spettacolarità eclatante, per 11 km nel ripido versante nord, incisa sulla roccia di pendici scoscese e dipanandosi poco alla volta, senza strappi, con stretti tornanti (27) e brevi rettilinei, su un paesaggio orrido e suggestivo - un intrico di rilievi, di pareti rocciose sorgenti da vallecole e da burroni tortuosi e profondi - dove pareti nude, formate da potenti banchi di arenaria e marne, plasmano strato su strato grandiosi gradoni, orizzontali come le Scalacce o verticali come le Tavole di Mosè, che erompono dal verde ed intridono di grigio il paesaggio, dando alla valle del Fosso del Capanno “l’aspetto di un immenso anfiteatro devastato da forze titaniche, la cui platea sembra sprofondata e frastagliata in numerosi calanchi”, come scrisse un viaggiatore nei primi anni Trenta.
In quegli anni la strada dei Mandrioli, “angusta, incomoda e polverosa”, passò allo Stato - fu chiamata SS. 71 “Umbro Casentinese” - e l'AAS (antenata dell'ANAS) vi apportò correzioni e varianti per smussare curve, allargare ed asfaltare il piano stradale, vi costruì “opere d'arte” (ponti, cunette, muri di sostegno) ed una nuova cantoniera.
Oggi, travolto dal fragore della E/45, quello che fu un valico di primaria importanza nei collegamenti tra Romagna e Toscana, è ridotto - nel tratto romagnolo - a modesta Provinciale (SP. 142) e la rossa cantoniera è un rudere pericolante. Il paesaggio che attraversa invece è in pieno rigoglio: racchiuso tra l'area wilderness “Fosso del Capanno” ed il “Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi”, è parte complementare di quel grandioso scenario forestale che si estende su questa parte di Appennino.
Rimangono di quel tempo che non è più il nostro le impressioni di quanti ne hanno raccontato e raffigurato, imprimendoli nell'immaginario, gli incanti topografici, che per il viaggiatore attento e curioso costituiscono un ineludibile invito ad una rilettura itinerante, un viaggio nel viaggio godibile e suggestivo.
Come la pagina in cui Manara Valgimigli (1876-1965) racconta con straordinaria efficacia evocatrice il suo primo viaggio, grande e memorabile, lungo i Mandrioli, compiuto il 6 dicembre 1885 quando dovette lasciare col padre Antonio e la madre Sofia Baldelli, la natia San Piero in Bagno dove aveva trascorso gli anni felici della fanciullezza: “Ricordo perfettamente la mattina che partimmo e il lunghissimo viaggio. Eravamo partiti con la vettura della posta: ci stavamo noi tre, raggomitolati e infagottati sotto il mantice alzato; il vetturale o postino a cassetta, col sacco della posta e altre cose nostre. Ho sempre avuto davanti agli occhi, spettacolo mai veduto prima, qual gran mare di nuvole grigie e bianche sopra cui ci trovammo appena arrivati al Valico dei Mandrioli, e il sole era già alto”.
In questo grandioso e corrusco paesaggio dove la natura aveva un volto primigenio, tellurico, una sensazione di solitudine accompagnava di solito il viaggiatore. Un sentimento che può esaltare od opprimere.
Il letterato romagnolo Giacinto Ricci Signorini (1861-1893) vi ambientò il finale del racconto Un fiumicel che nasce in Falterona, di una malinconia senza scampo.
Il protagonista, che da Meldola si sta dirigendo al Falterona, arriva a Bagno in una cupa vigilia di Pasqua e s’incammina verso i Mandrioli sotto un cielo plumbeo, senza incontrare nessuno. “Il vento taceva: su le coste i faggi spogliati pareva non avessero più lamenti per compiangere la loro nudità vergognosa: qua e là mucchi di neve sporca, coperta da foglie secche. Non una casa: solo qualche cascina, chiusa, abbandonata, come se gli abitanti ne fossero partiti, per sempre (…). Non bisbiglio di uccelli, non chiacchierio di acqua corrente. Solo talvolta il silenzio era rotto dal rapido fruscio di un sasso, che cadendo dall’alto strisciava sulla roccia disciolta dai geli e trascinava in basso un mucchietto di polvere e di foglie. E allora mi colse quell’affanno, quella oppressura, quella stanchezza dell’anima, indefinita, che le parole non possono esprimere, ma che la mente ricorda con terrore e con desiderio”. Disperatamente solo, stanco, sfinito, è preso da quell’angoscia terribile “che nelle altezze, nella solitudine vi afferra alla gola e vi fa piangere come un bambino. Chi l’ha provata non può dimenticarla mai”.
Il racconto uscì in vari numeri de “Il Cittadino” di Cesena, tra maggio e luglio del 1893: il 24 giugno di quell’anno, in quella città ove insegnava, nella sua abitazione, in uno dei suoi giorni cupi, Ricci Signorini - personalità saturnina, soverchiata dal tempo e dalla morte - s’era tolto la vita.
Ben altra impressione provò Alfredo Oriani (1852-1909) nell'esaltante ascesa dei Mandrioli, compiuta durante il suo celebre viaggio in bicicletta di due settimane - da Faenza a Bagno di Romagna e, per i Mandrioli, ad Arezzo, Siena, Pisa, Lucca, Bologna e infine a Casola - raccontato in quel classico del cicloturismo che è Sul pedale (1902).
E’ ormai il mezzogiorno del 2 agosto 1897 quando il poderoso ciclista s’accinge ad affrontare la salita “sotto un sole africano” che lo costringe spesso a piedi, bicicletta alla mano. Persa di vista la diligenza per Bibbiena che lo precedeva di un chilometro, procede a fatica. “A mano a mano la luce sembra purificarsi e il silenzio diventa maestoso: appaiono le prime rocce tagliate nei fianchi della strada, poi boschi di abeti ed altre roccie e prati senza una casa: appena qua e là, lontano, un fumo diafano ed azzurrino sale da una carbonaia, non un rintocco di campanaccio, non un muggito di vacca. E' l'ora del meriggio accecante ed inerte nella propria vampa. Solamente un falco disegna al di sopra dei monti larghe e pigre ruote colle ali che sembrano incendiarsi alle punte, ma il suo stridore sottile si perde nel sereno.(...) La catena dell’Appennino adesso appare grandiosamente da ogni parte, creste nude o chiomate, fianchi scoscesi e deformi, che si urtano rientrando l’uno nell’altro quasi in un tumulto di tempesta subitamente pietrificata. L'uomo non vi si rivela che per la strada, senza uomini di quest'ora. Finalmente non mi ricordo più di nulla (...) sono libero, senza casa, senza scopo, senza vanità. (...) Come tutto è bello! E io penso alla inutilità della nostra presenza nel mondo, che non vi aggiunge una bellezza e non vi scopre un secreto”.
Agli inizi del Novecento lungo questo scenario suggestivo, immortalato dai fotografi di Alinari e descritto nei baedeker, si svolgeva una “comoda passeggiata, tutta per la via maestra”: la più frequentata da quanti in estate si recavano alle terme di Bagno, sempre più numerosi grazie a tale strada. E tappa obbligata prima del valico (1.173 slm) - anche per chi, con vetture, andava a visitare Badia Prataglia, La Verna e Camaldoli, ormai centri internazionali di villeggiatura - era l'osteria della cantoniera del “Raggio”, “largo edifizio costrutto solidamente contro le intemperie più turbinose”, come scrisse Ricci Signorini. Qui - recitava la réclame - si poteva gustare “marsala e buon vino, fare una saporitissima merenda” godendo “il paesaggio orrido”, e - massimo conforto per il viaggiatore - dissetarsi ad una sorgente freschissima: “una bocca di colubrina e un getto impetuoso, che si rompe dentro un abbeveratoio largo e lungo come una tinozza”, ove l'accaldato Oriani voleva gettarsi, impedito dall'arrivo di “cinque o sei signorine vestite di giallo di bianco di rosso, tutta una festa di colori e di risa”.
Sulla fine degli anni Venti, tra quanti erano soliti villeggiare nella cantoniera del “Raggio” c'era il pittore forlivese Giovanni Marchini (1877-1946), “l'ultimo dei Macchiaioli”.
Nell'alta Valle del Savio aveva un'amicizia di lunga data con il sampierano Orazio Spighi (1889 -1950): un “genialoide” - secondo Spallicci -, pittore, poeta, collaboratore de “Il Plaustro” e dal novembre 1923 al marzo '24 primo sindaco fascista di Bagno di Romagna. Si erano conosciuti nei primi anni del secolo a Forlì, al caffè Prati ove - racconta Spighi in un articolo del '23 - facevano “cenacolo e bohéme” giovani e sicure promesse della pittura come, appunto, Marchini “eterno bambinone, tanto rassomigliante nell'aspetto al Segantini”, Pietro Angelini “dal cappotto a pipistrello”, Pio Rossi “sobrio e fine disegnatore”, Amleto Montevecchi “vera stoffa d'artista, geniale quanto disordinato”; era della compagnia anche la “Bitta” Santolini invidiata modella di Domenico Baccarini, e talvolta pure Benito Mussolini - cappello floscio, giubba corta e “sempre in bolletta” - che ammirava ed elogiava “Il Cavallo Narratore” del barbuto Marchini (1901).
Conoscenza più recente era quella con Umberto Console (1886-1969), un colto maestro elementare palermitano trapiantato a San Piero in Bagno che dal 1926 aveva iniziato a collaborare con “Il Resto del Carlino” e con varie riviste.
I soggiorni estivi sui Mandrioli dell'ormai affermato pittore forlivese non sfuggono all' attento giornalista, che in un articolo sul “Corriere Adriatico” del 24 settembre del '29 racconta di una visita a Marchini, che - scrive - “da qualche anno viene con la sua famigliola a trascorrere due mesi” al Raggio, dove a contatto con la natura studia e rappresenta nelle tele il paesaggio circostante, consono “al suo senso d'arte”. L'amico pittore lo accompagna infatti fin dentro un fitto bosco d'abeti da cui, additando una lontana fila di muli carichi di balle di carbone che attraversa una radura, gli confida: “Questo è il quadro che sto preparando (...). Mi sono ispirato ad una scena di lavoro e di fatica fra le esuberanti bellezze della natura”.
Console - che su “Il Bosco” elencherà molte delle opere dipinte sui Mandrioli ed esposte nella primavera del '35 nel Palazzo della ex Posta di Forlì - anticipa anche una notizia: “Forse lo faremo cittadino onorario dei Mandrioli dove vuol mettere radice acquistando una casetta che diverrà il suo nido d'aquila”: infatti, sulla fine del '29 Marchini compra una casetta a qualche centinaio di metri dalla cantoniera del “Raggio”, in vocabolo “Tavole di Mosè” (1.100 slm), sul lato a strapiombo della strada, ove aveva abitato la famiglia di una guardia comunale che vigilava sulla “Macchia grossa dell'Alpe”.
La “Casetta del Raggio” - ingrandita con altre stanze ed un lembo di terra, aggraziata da una “loggetta istoriata” ed un cancello, detto “la soglia della pace” - divenne suo rifugio, ed il territorio circostante, ove scorreva la vita di contadini, carbonai, pastori e cantonieri, fonte di ispirazione. Sulla facciata collocò un'iscrizione tratta dalla Vita di Benvenuto Cellini che nel 1554 aveva ammirato gli stessi incanti del paesaggio durante una “gita” a Bagno; e di lato, scrisse, con orgoglio, a grandi caratteri: “Rifugio alpestre del pittore Giovanni Marchini di Forlì”.
Il “rifugio”, dove egli “soggiornò, dipinse e sognò, nella serenità dei domestici affetti” - come si legge nella lapide apposta dai familiari - e attorno a cui aleggia per sempre “lo spirito acceso dal francescano paesaggio”, è rimasto nella memoria della gente come “La casa del pittore”.
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Il testo di G. Marcuccini è tratto da: Un pittore in Appennino. Giovanni Marchini (1877 – 1946). La strada dei Mandrioli e il suo paesaggio. A cura di O. Piraccini. Catalogo della mostra 2008 tenuta a Palazzo del Capitano di Bagno di Romagna. Cesena, Litografia Stampare 2008, pp. 85-89.
I lavori erano iniziati nel 1868, e dieci anni dopo erano stati realizzati i tratti da Bagno al Passo dei Mandrioli (km 11,31) e da Bibbiena a Badia Prataglia (km.11,83), finanziati l’uno dalla Provincia di Firenze, l’altro da quella di Arezzo. Rimanevano 5 km, a cui si stava lavorando nell'agosto 1880 quando lo scrittore Olindo Guerrini (1854 -1916), giunto a Badia Prataglia durante un viaggio dal Falterona al Fumaiolo, dovette dormire sui tavoli di un'osteria perché tutte le camere erano occupate dagli operai impiegati in quegli ultimi lavori.
L’apertura al traffico della “Tosco-Romagnola” tolse letteralmente dalla segregazione l’alta valle del Savio che non aveva una strada carrozzabile che congiungesse i territori montani delle Province di Forlì, Arezzo e Firenze, contigui ma poco comunicanti.
Bagno di Romagna infatti era unito al resto della Toscana al di la dell'Appennino solo con l'impervia mulattiera di Passo Serra, mentre un tratturo “vagante per il letto del Savio” rendeva ardue le comunicazioni con Sarsina e la pianura romagnola; per giungere poi dalla stazione ferroviaria più vicina - quella di Forlì - la diligenza impiegava 6 ore lungo i 66 km della provinciale della Valle del Bidente ed il Passo del Carnaio.
La nuova viabilità - completata nell'agosto 1899 con l'inaugurazione dell'altra “carrozzabile interprovinciale tosco romagnola” lungo la Valle del Savio - porta regolari collegamenti e nuove prospettive economiche e sociali. Dal 1901 un servizio di posta con diligenza unisce giornalmente Bagno a Cesena (57 km), sostituito qualche anno dopo dalla corriera della “Società Automobilistica Valle del Savio”. Nel versante toscano, da Arezzo è attivo fin dal 1882 un servizio di diligenza fino a Bibbiena, da dove un postale reca giornalmente a Bagno; poi, con l'entrata in funzione della tratta ferroviaria Arezzo-Bibbiena-Stia (1888), dalla stazione di Bibbiena, in coincidenza coi treni da Arezzo, si giunge a Bagno in 4 ore con una vettura della posta a cavalli; nel gennaio 1913 inizia il servizio automobilistico Bagno-Bibbiena, e dal 1917 le due corse giornaliere della SITA tra Firenze e Bagno di Romagna.
La Tosco-romagnola - che con audaci tagli in roccia e ampi serpeggiamenti vince un forte dislivello (664 metri) con andamento breve e pendenze costanti intorno al 5-7% - venne percepita come un'ardita impresa, un “prodigio naturale e artificiale”: un capolavoro ingegneristico - “Certo è che per quei monti e per quei scogli sconci ed erti, pare impossibile potersi costruire una strada ruotabile” si scriveva - e paesaggistico: “una delle più belle d’Italia” secondo alcuni, per altri “forse anche troppo di lusso per una strada di montagna”.
La progettò Alcide Boschi (1839-1892), ingegnere distrettuale del Circondario di Rocca San Casciano, che ebbe pure il compito di curare ed attuare il progetto definitivo della ruotabile interprovinciale tra Bagno e Sarsina, naturale proseguimento della Strada dei Mandrioli verso la piana romagnola.
Per dimostrar gratitudine all'ingegner Boschi che tanto fece per la rete stradale dell’alto Savio, il Comune di Bagno di Romagna deliberò di erigergli due lapidi. Che però non vennero mai commissionate. Nel 1908 - 16° anniversario della sua drammatica morte - un gruppo di ammiratori pose allora sulla cantoniera del “Raggio”, lungo i Mandrioli, questa lapide: “Bagno di Romagna 16 luglio 1908./ Nato a Pisa il 2 settembre 1839 / morto il 16 luglio 1892, / il Cav. Ing. Alcide Boschi / costruiva, / monumento imperituro / della sua sapienza artistica, / questa strada dei Mandrioli”.
La Tosco-romagnola è infatti spettacolare e offre scenari differenti a seconda del versante che si percorre, dove pure è diverso l’inserimento nel paesaggio: in quello toscano sale, orientandosi sul fiume Archiano, tra il verde di una natura domestica che asseconda con graduale educazione al pendio; in quello romagnolo l'opera dell'uomo invece si affida risolutamente a se stessa: salendo da Bagno s’inerpica, con una spettacolarità eclatante, per 11 km nel ripido versante nord, incisa sulla roccia di pendici scoscese e dipanandosi poco alla volta, senza strappi, con stretti tornanti (27) e brevi rettilinei, su un paesaggio orrido e suggestivo - un intrico di rilievi, di pareti rocciose sorgenti da vallecole e da burroni tortuosi e profondi - dove pareti nude, formate da potenti banchi di arenaria e marne, plasmano strato su strato grandiosi gradoni, orizzontali come le Scalacce o verticali come le Tavole di Mosè, che erompono dal verde ed intridono di grigio il paesaggio, dando alla valle del Fosso del Capanno “l’aspetto di un immenso anfiteatro devastato da forze titaniche, la cui platea sembra sprofondata e frastagliata in numerosi calanchi”, come scrisse un viaggiatore nei primi anni Trenta.
In quegli anni la strada dei Mandrioli, “angusta, incomoda e polverosa”, passò allo Stato - fu chiamata SS. 71 “Umbro Casentinese” - e l'AAS (antenata dell'ANAS) vi apportò correzioni e varianti per smussare curve, allargare ed asfaltare il piano stradale, vi costruì “opere d'arte” (ponti, cunette, muri di sostegno) ed una nuova cantoniera.
Oggi, travolto dal fragore della E/45, quello che fu un valico di primaria importanza nei collegamenti tra Romagna e Toscana, è ridotto - nel tratto romagnolo - a modesta Provinciale (SP. 142) e la rossa cantoniera è un rudere pericolante. Il paesaggio che attraversa invece è in pieno rigoglio: racchiuso tra l'area wilderness “Fosso del Capanno” ed il “Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi”, è parte complementare di quel grandioso scenario forestale che si estende su questa parte di Appennino.
Rimangono di quel tempo che non è più il nostro le impressioni di quanti ne hanno raccontato e raffigurato, imprimendoli nell'immaginario, gli incanti topografici, che per il viaggiatore attento e curioso costituiscono un ineludibile invito ad una rilettura itinerante, un viaggio nel viaggio godibile e suggestivo.
Come la pagina in cui Manara Valgimigli (1876-1965) racconta con straordinaria efficacia evocatrice il suo primo viaggio, grande e memorabile, lungo i Mandrioli, compiuto il 6 dicembre 1885 quando dovette lasciare col padre Antonio e la madre Sofia Baldelli, la natia San Piero in Bagno dove aveva trascorso gli anni felici della fanciullezza: “Ricordo perfettamente la mattina che partimmo e il lunghissimo viaggio. Eravamo partiti con la vettura della posta: ci stavamo noi tre, raggomitolati e infagottati sotto il mantice alzato; il vetturale o postino a cassetta, col sacco della posta e altre cose nostre. Ho sempre avuto davanti agli occhi, spettacolo mai veduto prima, qual gran mare di nuvole grigie e bianche sopra cui ci trovammo appena arrivati al Valico dei Mandrioli, e il sole era già alto”.
In questo grandioso e corrusco paesaggio dove la natura aveva un volto primigenio, tellurico, una sensazione di solitudine accompagnava di solito il viaggiatore. Un sentimento che può esaltare od opprimere.
Il letterato romagnolo Giacinto Ricci Signorini (1861-1893) vi ambientò il finale del racconto Un fiumicel che nasce in Falterona, di una malinconia senza scampo.
Il protagonista, che da Meldola si sta dirigendo al Falterona, arriva a Bagno in una cupa vigilia di Pasqua e s’incammina verso i Mandrioli sotto un cielo plumbeo, senza incontrare nessuno. “Il vento taceva: su le coste i faggi spogliati pareva non avessero più lamenti per compiangere la loro nudità vergognosa: qua e là mucchi di neve sporca, coperta da foglie secche. Non una casa: solo qualche cascina, chiusa, abbandonata, come se gli abitanti ne fossero partiti, per sempre (…). Non bisbiglio di uccelli, non chiacchierio di acqua corrente. Solo talvolta il silenzio era rotto dal rapido fruscio di un sasso, che cadendo dall’alto strisciava sulla roccia disciolta dai geli e trascinava in basso un mucchietto di polvere e di foglie. E allora mi colse quell’affanno, quella oppressura, quella stanchezza dell’anima, indefinita, che le parole non possono esprimere, ma che la mente ricorda con terrore e con desiderio”. Disperatamente solo, stanco, sfinito, è preso da quell’angoscia terribile “che nelle altezze, nella solitudine vi afferra alla gola e vi fa piangere come un bambino. Chi l’ha provata non può dimenticarla mai”.
Il racconto uscì in vari numeri de “Il Cittadino” di Cesena, tra maggio e luglio del 1893: il 24 giugno di quell’anno, in quella città ove insegnava, nella sua abitazione, in uno dei suoi giorni cupi, Ricci Signorini - personalità saturnina, soverchiata dal tempo e dalla morte - s’era tolto la vita.
Ben altra impressione provò Alfredo Oriani (1852-1909) nell'esaltante ascesa dei Mandrioli, compiuta durante il suo celebre viaggio in bicicletta di due settimane - da Faenza a Bagno di Romagna e, per i Mandrioli, ad Arezzo, Siena, Pisa, Lucca, Bologna e infine a Casola - raccontato in quel classico del cicloturismo che è Sul pedale (1902).
E’ ormai il mezzogiorno del 2 agosto 1897 quando il poderoso ciclista s’accinge ad affrontare la salita “sotto un sole africano” che lo costringe spesso a piedi, bicicletta alla mano. Persa di vista la diligenza per Bibbiena che lo precedeva di un chilometro, procede a fatica. “A mano a mano la luce sembra purificarsi e il silenzio diventa maestoso: appaiono le prime rocce tagliate nei fianchi della strada, poi boschi di abeti ed altre roccie e prati senza una casa: appena qua e là, lontano, un fumo diafano ed azzurrino sale da una carbonaia, non un rintocco di campanaccio, non un muggito di vacca. E' l'ora del meriggio accecante ed inerte nella propria vampa. Solamente un falco disegna al di sopra dei monti larghe e pigre ruote colle ali che sembrano incendiarsi alle punte, ma il suo stridore sottile si perde nel sereno.(...) La catena dell’Appennino adesso appare grandiosamente da ogni parte, creste nude o chiomate, fianchi scoscesi e deformi, che si urtano rientrando l’uno nell’altro quasi in un tumulto di tempesta subitamente pietrificata. L'uomo non vi si rivela che per la strada, senza uomini di quest'ora. Finalmente non mi ricordo più di nulla (...) sono libero, senza casa, senza scopo, senza vanità. (...) Come tutto è bello! E io penso alla inutilità della nostra presenza nel mondo, che non vi aggiunge una bellezza e non vi scopre un secreto”.
Agli inizi del Novecento lungo questo scenario suggestivo, immortalato dai fotografi di Alinari e descritto nei baedeker, si svolgeva una “comoda passeggiata, tutta per la via maestra”: la più frequentata da quanti in estate si recavano alle terme di Bagno, sempre più numerosi grazie a tale strada. E tappa obbligata prima del valico (1.173 slm) - anche per chi, con vetture, andava a visitare Badia Prataglia, La Verna e Camaldoli, ormai centri internazionali di villeggiatura - era l'osteria della cantoniera del “Raggio”, “largo edifizio costrutto solidamente contro le intemperie più turbinose”, come scrisse Ricci Signorini. Qui - recitava la réclame - si poteva gustare “marsala e buon vino, fare una saporitissima merenda” godendo “il paesaggio orrido”, e - massimo conforto per il viaggiatore - dissetarsi ad una sorgente freschissima: “una bocca di colubrina e un getto impetuoso, che si rompe dentro un abbeveratoio largo e lungo come una tinozza”, ove l'accaldato Oriani voleva gettarsi, impedito dall'arrivo di “cinque o sei signorine vestite di giallo di bianco di rosso, tutta una festa di colori e di risa”.
Sulla fine degli anni Venti, tra quanti erano soliti villeggiare nella cantoniera del “Raggio” c'era il pittore forlivese Giovanni Marchini (1877-1946), “l'ultimo dei Macchiaioli”.
Nell'alta Valle del Savio aveva un'amicizia di lunga data con il sampierano Orazio Spighi (1889 -1950): un “genialoide” - secondo Spallicci -, pittore, poeta, collaboratore de “Il Plaustro” e dal novembre 1923 al marzo '24 primo sindaco fascista di Bagno di Romagna. Si erano conosciuti nei primi anni del secolo a Forlì, al caffè Prati ove - racconta Spighi in un articolo del '23 - facevano “cenacolo e bohéme” giovani e sicure promesse della pittura come, appunto, Marchini “eterno bambinone, tanto rassomigliante nell'aspetto al Segantini”, Pietro Angelini “dal cappotto a pipistrello”, Pio Rossi “sobrio e fine disegnatore”, Amleto Montevecchi “vera stoffa d'artista, geniale quanto disordinato”; era della compagnia anche la “Bitta” Santolini invidiata modella di Domenico Baccarini, e talvolta pure Benito Mussolini - cappello floscio, giubba corta e “sempre in bolletta” - che ammirava ed elogiava “Il Cavallo Narratore” del barbuto Marchini (1901).
Conoscenza più recente era quella con Umberto Console (1886-1969), un colto maestro elementare palermitano trapiantato a San Piero in Bagno che dal 1926 aveva iniziato a collaborare con “Il Resto del Carlino” e con varie riviste.
I soggiorni estivi sui Mandrioli dell'ormai affermato pittore forlivese non sfuggono all' attento giornalista, che in un articolo sul “Corriere Adriatico” del 24 settembre del '29 racconta di una visita a Marchini, che - scrive - “da qualche anno viene con la sua famigliola a trascorrere due mesi” al Raggio, dove a contatto con la natura studia e rappresenta nelle tele il paesaggio circostante, consono “al suo senso d'arte”. L'amico pittore lo accompagna infatti fin dentro un fitto bosco d'abeti da cui, additando una lontana fila di muli carichi di balle di carbone che attraversa una radura, gli confida: “Questo è il quadro che sto preparando (...). Mi sono ispirato ad una scena di lavoro e di fatica fra le esuberanti bellezze della natura”.
Console - che su “Il Bosco” elencherà molte delle opere dipinte sui Mandrioli ed esposte nella primavera del '35 nel Palazzo della ex Posta di Forlì - anticipa anche una notizia: “Forse lo faremo cittadino onorario dei Mandrioli dove vuol mettere radice acquistando una casetta che diverrà il suo nido d'aquila”: infatti, sulla fine del '29 Marchini compra una casetta a qualche centinaio di metri dalla cantoniera del “Raggio”, in vocabolo “Tavole di Mosè” (1.100 slm), sul lato a strapiombo della strada, ove aveva abitato la famiglia di una guardia comunale che vigilava sulla “Macchia grossa dell'Alpe”.
La “Casetta del Raggio” - ingrandita con altre stanze ed un lembo di terra, aggraziata da una “loggetta istoriata” ed un cancello, detto “la soglia della pace” - divenne suo rifugio, ed il territorio circostante, ove scorreva la vita di contadini, carbonai, pastori e cantonieri, fonte di ispirazione. Sulla facciata collocò un'iscrizione tratta dalla Vita di Benvenuto Cellini che nel 1554 aveva ammirato gli stessi incanti del paesaggio durante una “gita” a Bagno; e di lato, scrisse, con orgoglio, a grandi caratteri: “Rifugio alpestre del pittore Giovanni Marchini di Forlì”.
Il “rifugio”, dove egli “soggiornò, dipinse e sognò, nella serenità dei domestici affetti” - come si legge nella lapide apposta dai familiari - e attorno a cui aleggia per sempre “lo spirito acceso dal francescano paesaggio”, è rimasto nella memoria della gente come “La casa del pittore”.
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Il testo di G. Marcuccini è tratto da: Un pittore in Appennino. Giovanni Marchini (1877 – 1946). La strada dei Mandrioli e il suo paesaggio. A cura di O. Piraccini. Catalogo della mostra 2008 tenuta a Palazzo del Capitano di Bagno di Romagna. Cesena, Litografia Stampare 2008, pp. 85-89.
Tue, 23 Apr 2024 13:37:11 +0000